The Substance. L’ossessione dello sguardo nel nuovo film con Demi Moore
TRAMA
Elisabeth Sparkle (Demi Moore) è un’attrice di mezza età, un tempo star di Hollywood, oggi protagonista di uno show di fitness in tv. Quando la rete la allontana per sostituirla con una ragazza più giovane, Elisabeth si imbatte in un misterioso programma medico che le propone un kit di sostanze da iniettarsi per “cambiare vita”.
Complice l’estrema solitudine in cui vive, Elisabeth decide di intraprendere questa nuova esperienza. Dal suo corpo “nasce” Sue, bellissima ventenne che in breve prende il posto di Elisabeth in tv ed ottiene un successo clamoroso. Unico effetto collaterale del trattamento: quando c’è Sue, il corpo di Elisabeth resta dormiente e viceversa, ed ogni 7 giorni bisogna scambiarsi, altrimenti…
Demi Moore nel ruolo perfetto
Non poteva essere che di una donna lo sguardo che muove le fila di questo intenso e perturbante film. Coralie Fargeat, che già nel 2019 aveva affrontato il tema dell’ossessione per l’estetica con il corto Reality+, questa volta propone un’indagine ancora più spietata. Per farlo, sceglie una protagonista iconica, Demi Moore.
Nel corso della sua carriera, il corpo di Demi Moore è stato oggetto di un voyerismo senza freni che l’ha indagata e condannata per ogni scelta: la chirurgia plastica, la trasformazione da dolce ragazza della porta accanto in Ghost a sexy lapdancer in Streptease, e ancora la gogna del gossip attraverso la relazione e l’ “abbandono” di Ashton Kutcher. C’era mancata, Demi Moore. Mentre la stampa torna a cucirle addosso una nuova immagine, quella della santa e caregiver che, dopo l’abbandono del toy boy, si riprende dalla solitudine per prendersi cura dell’ex marito malato (Bruce Willis), lei torna con tutta la potenza di una Diva.
E così, sullo schermo, vediamo il suo corpo nudo urlare il proprio diritto alla Bellezza. Sebbene lo sguardo della macchina da presa indugi sulle (poche) rughe, sulle pieghe della schiena, sui glutei poco tonici contro cui si scaglia violento il corpo plastico, statuario, perfetto, di Margaret Qualley (Sue), Demi Moore emerge da questa prova più bella che mai.
Minuto dopo minuto la vediamo trasformarsi e, più la sua ossessione prende forza, più il suo corpo si deforma. Elisabeth si trasforma nel ritratto di Dorian Gray che fagocita e imbratta, urla e sbraita ma nessuno lo vede. Nascosta al mondo mentre il suo alter ego Sue troneggia sulla città, su cartelloni pubblicitari immensi, data in pasto ad ogni sguardo, esposta ai limiti della pornografia. Quello dipinto da Coralie Fargeat è uno scenario inquietante che possiamo rintracciare nelle ossessioni più comuni. Non è la ricerca di giovinezza ad ogni costo ad essere condannata, quanto la violenza dello sguardo. Non è Elisabeth a voler essere giovane -nei primi minuti la vediamo bella e luminosa -, ma è lo sguardo volgare di “chi-decide-per-lei” a condannarla. Lo sguardo che giudica, violenta e condanna il corpo femminile. In altre parole, lo sguardo maschile.
Da un lato, ciò che resta della visione di questo film è che la bellezza non è perfezione, ma qualcosa che è nascosto allo sguardo. Un elemento che si trova dove l’occhio non può arrivare. Peccato, però, che l’intero film sia più godibile sulla carta che nella “substance”, appunto. Sebbene la premessa, il talento delle due attrici protagoniste e la prova registica che si ispira (e, spesso, copia) grandi maestri del perturbante cinematografico come Cronenberg, Lynch e il primo Aronofsky, il risultato manca di un epilogo forte. I due corpi di Elisabeth/Sue si sdoppiano, si riassemblano, si scontrano ma il messaggio viene smembrato e indebolito da uno schema uguale e ripetitivo per tutta la durata del film.