L’Arte è Bellezza, ma anche Comunicazione: focus sull’artista Antonio Rolla - Infoestetica Magazine

L’Arte è Bellezza, ma anche Comunicazione: focus sull’artista Antonio Rolla

L’Arte è Bellezza, ma anche Comunicazione: focus sull’artista Antonio Rolla

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IN BREVE:

  •   L’Arte come lo specchio dell’anima dell’artista
  • Le caratteristiche che identificano l’artista
  • Il motivo che induce l’artista a dipingere
  • La scelta commerciale
  • Le descrizioni del Dott. Marinelli e del Prof. Antonio Rolla
  • Le interviste
  • Conclusioni

 

L’Arte è lo specchio dell’anima dell’artista, illustra graficamente e visibilmente le sue emozioni e delinea il contesto sociale in cui lo stesso artista vive.

Le pennellate, la scelta cromatica, lo stile, la tecnica e il soggetto che l’artista dipinge raccontano molto dello stesso. Tutti questi elementi riescono a mettere in evidenza alcune peculiarità che non sempre si possono osservare con gli occhi, ma solo con il cuore e l’anima. La purezza è la ricerca di una verità intrinseca che viene rappresentata dal motivo che induce l’artista a dipingere una determinata cosa in un momento ben preciso della sua vita. Tutto ruota attorno all’emotività e a ciò che si ode o si vive, tranne quando codeste scelte vengono dettate da una produttività commerciale che induce l’artista a soddisfare esigenze di natura diversa e, quindi, le stesse che non mostrano la sua vera natura e il suo ‘io’ più nascosto. In tal senso, sia il critico d’arte, il Dott. Marinelli, che l’artista, il Prof. Antonio Rolla, ci illustrano la Bellezza e l’Arte del pittore che si identifica in ciò che dipinge e, nel contempo, cerca di comunicare e far comprendere l’importanza della cultura, della storia e, ovviamente, dell’arte nelle varie epoche.

Dott. Marinelli, in qualità di critico, cosa ci sa dire in merito all’esposizione pittorica dell’artista Antonio Rolla?

‘Antonio Rolla è una della massime figure di riferimento dell’arte contemporanea, soprattutto nella nostra terra. Il suo è un percorso che inizia alla fine degli anni ‘60 ed è, ancora oggi, un percorso molto attivo sul piano dell’impegno sociale. Questa mostra che documenta circa 30 anni di attività, mette in evidenza proprio le caratteristiche del suo linguaggio artistico: un linguaggio figurativo, molto raffinato, poetico, ma, al tempo stesso, teso con cui riesce ad affrontare una serie di problematiche che riguardano le contraddizioni del nostro tempo. È un linguaggio che, sostanzialmente, è molto coerente nel tempo pur essendoci stati degli sviluppi, ha portato avanti questo tipo di approccio alla sue ricerche. Antonio Rolla, oltre a essere un grandissimo artista, è stato anche un importante mentore, una figura straordinaria anche in qualità di docente del liceo artistico, pertanto le sue qualità artistiche e umane sono passate di generazione in generazione attraverso i suoi allievi e oggi, peraltro, affermati artisti’

 

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Tra pathos e Bellezza: cos’è che emerge maggiormente nelle opere di Antonio Rolla?

‘Entrambe le cose, perché la sua capacità è quella di riuscire a creare una pittura molto equilibrata dove le emozioni, ma anche le polemiche, le riflessioni critiche convivono tra loro in una condizione di quasi apparente calma, tranquillità eppure tutto è, praticamente, sotto controllo, è retto dalla sua maestria tecnica’

 

Essendo lei un critico vorrei chiederle qual è lo stile di Rolla? Qual è quello che emerge di più o a quale corrente artistica si avvicina maggiormente?

‘A livello di tecnica e linguaggio parliamo di una pittura figurativa su tela. La tecnica che predilige è quella dell’acrilico su tela ed è, volendolo contestualizzare nell’ambito delle tendenze internazionali, la sua è una pittura che può essere ricondotta alla tendenza neo-figurativa che si afferma, soprattutto, alla fine degli anni ‘60. Si tratta di una pittura che ha sempre un respiro legato all’impegno civile e sociale e, quindi, questa è un’altra componente fondamentale che caratterizza il suo linguaggio - e lo stile - Uno stile figurativo e a tratti iperrealista’

 

Secondo lei, a parte le problematiche odierne, in cosa trova ispirazione? C’è un richiamo al passato che non è propriamente circoscritto agli anni ‘60?

‘Sì, la sua pittura dimostra una straordinaria conoscenza della storia dell’arte e, quindi, possiamo trovare una serie di riferimenti sul piano compositivo, tecnico, anche grandi opere di artisti del passato’

 

Come sono le pennellate?

‘A livello di pennellate è molto vario. Riesce ad alternare campiture ampie a pennellate anche un po’ più esili a seconda del soggetto che si trova a raffigurare’

 

Mentre, la sua passione per l’arte quando nasce?

‘Nasce da quando ero uno studente delle scuole medie, ma nasce anche dal fatto di provenire da una famiglia dove mio padre ha sempre coltivato la passione per la pittura, per cui la mia passione nasce guardandolo dipingere, provandolo a imitare quando ero bambino e, poi, è cresciuta nel tempo. Successivamente, è subentrata anche la passione per la storia dell’arte che ho approfondito con i miei studi’

 

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L’arte è Bellezza?

‘Assolutamente’

 

Prof. Antonio Rolla, per iniziare vorrei chiederle alcuni cenni storici in merito alla sua carriera.

‘Sono stato Professore e adesso sono in quiescenza dal 2011 e, quindi, ho avuto la possibilità di dedicarmi ancora di più all’arte, al dipingere, anche se,durante la scuola, non l’ho mai abbandonata. Difatti, in diverse occasioni in classe ho realizzato dei pannelli con la collaborazione dei ragazzi perché mi piaceva coinvolgerli, tant’è che molti di loro sono memori di questa esperienza e, una volta terminati ed esposti, ognuno di loro era visibilmente orgoglioso del contributo che aveva dato. Questi pannelli sono, poi, stati regalati al museo Donati (museo della Seconda Guerra Mondiale di Manduria) e li ho realizzati interamente in classe: a partire dall’idea, la scelta dei soggetti con la collaborazione dei ragazzi che esprimevano, anche loro, la loro opinione e il loro parere; inoltre, mi vedevano lavorare e impostare il dipinto ed è stata un’esperienza didattica positiva’

 

La sua passione per l’arte quando nasce?

‘Io sono un insegnante della scuola primaria mancato perché ho studiato e, la scuola media e le superiori le ho fatto a Taranto per esigenze economiche tenuto conto della distanza dell’istituto d’arte, sebbene la mia aspirazione fosse, appunto, quella di diplomarmi al liceo artistico, ma, anche in questo caso, era molto distante. Per cui, inizialmente, ho voluto accontentare la famiglia che mi voleva vedermi realizzato con un posto sicuro, ma, avendo avuto uno spirito un po’ irrequieto, ho accontentato mia madre conseguendo il diploma e, dopodiché, autonomamente mi sono dato da fare, mi sono messo a studiare e ho conseguito la maturità artistica’

 

Quindi, aveva già dentro di sé lo spirito dell’artista?

‘Sì, sì. Difatti, nel ‘68 ho deciso di partire alla volta di Roma dove ho vissuto quel periodo particolare e vi sono rimasto fino alla chiamata al liceo artistico di Taranto che fu una qualcosa che mi piovve addosso, perché io non ne sapevo niente. Nello specifico, fu mia madre che, non sopportando il fatto che io vivessi lontano a Roma in un periodo un po’ turbolento, presentò la mia domanda. All’epoca si poteva entrare per meriti, si consegnava una cartella o si consegnavano dei quadri e, poi, una commissione valutava le opere e forniva un giudizio affinché uno potesse entrare in graduatoria e, quindi, insegnare. Dunque, un giorno telefonai a mia madre (all’epoca non vi erano i cellulari per cui ci si sentiva in un giorno e in un orario prestabiliti) e, durante quella telefonata che non potrò mai dimenticare, mi disse che sarei dovuto scendere subito (a Taranto) in quanto era arrivata una lettera di convocazione da parte del liceo artistico. È stata una sorpresa - Una bella avventura - Sì, sì, è emozionante perché, poi, mi sono ritrovato a insegnare pur non avendo nozioni didattiche’

 

Com’è stato, invece, il rapporto con i ragazzi?

‘Ricordo il mio primo giorno in aula. Quando entrai vidi che alcuni di quei ragazzi erano piuttosto grandicelli. Io avevo 24 anni e vi erano ragazzi di 20/21 anni che si erano iscritti in ritardo o, forse, con l’idea di cambiare scuola hanno pensato al liceo artistico come un’opportunità. Quindi, non potevo ergermi a cattedra perché erano quasi coetanei. Dunque, c’è sempre stato un rapporto amicale, una collaborazione, una scelta anche del lavoro che dovevano fare; non c’era un’imposizione della didattica o della tematica. Sì, facevamo studio dal vero, però, poi, ogni tanto erano liberi di interpretare, di sperimentare, quindi si trattava di un bel rapporto’

 

Tra l’altro, ogni artista trova ispirazione in ciò che lui ritiene più opportuno e, poi, riproduce ciò sente dentro.

‘Sì, sì. Poi, veniva persino invitato alle feste, come i compleanni - Insomma, un bellissimo rapporto - Sì, un bel rapporto anche di stima con i genitori che, addirittura, mi telefonavano per invitarmi. Non nascondo il fatto che, molte volte, ci andavo con difficoltà perché mi sentivo un po’... - In soggezione? - Sì, perché, quando entravo in casa, ero al centro dell’attenzione. Io non sono stato mai ‘legato’ al titolo; chiamatemi pittore, chiamatemi Antonio’

 

Secondo lei, come si vive l’arte in Italia?

‘L’arte in Italia? Io posso parlare degli anni che sono stati formativi per me. A Roma ho avuto la possibilità di vedere la vera pittura con tematiche sociali di spessore. Ho conosciuto la pittura di Vespignani, di Ennio Calabria, di Guttuso. Guttuso contestato dagli alunni dell’accademia quando si presentò a una sua personale in Rolls Royce e, naturalmente, essendo stato uno dei primi ad affrontare tematiche sociali di impegno civile, questo suo gesto destò contestazioni tra i ragazzi che erano andati a visitare l’inaugurazione della sua personale. Era un fermento continuo. Attardi che conoscevo come pittore, per esempio, mi colpì tantissimo in quanto lo scoprì come scultore, ma con delle sculture eccezionali che erano presenti alla galleria Al Gabbiano e che ricordo ancora proprio perché mi impressionarono davvero tanto, ma anche a La Nuova Pesa, per esempio, con Mulas. Senza dimenticare Luchino Visconti che si presentò con Elmuth Berger, scelse un quadro di Mulas (il quale faceva la pittura di contestazione: ritraeva le scene di guerriglia urbana come i poliziotti con i caschi sulla scalinata). Quindi, partecipavi (anche se io ero timidamente in disparte) a quest’aria di cultura e di arte che si stava scrollando di dosso quella pittura tradizionale, perché vi erano nuovi colori, difatti quello fu il periodo in cui uscirono i colori acrilici. Erano colori sconosciuti, perché prima la pittura era prettamente a olio. Ora dovrei, invece, fare una lista di pittori che operavano in quel periodo: Cremonini, Fabio Rieti - E se le menzionassi Piero Manzoni o Bruno Munari, cosa mi direbbe? - Per quel tipo di ricerca che, comunque, ritengo validissima come, per esempio, le provocazioni di Manzoni con la sua ‘Merda d’Artista’, sono state uno scossone per la pittura; però, bisogna tenere presente il fatto che prima vi era stato un grande, ovvero Duchamp che quelle cose le aveva fatte come l’orinatoio presentato in galleria. Quindi, non è stato un antesignano -  È stato un messaggio abbastanza forte - Fortissimo, perché stiamo parlando della pittura post bellica, quindi si riprendeva un po’ di ossigeno dopo il periodo bellico - A cavallo anche del boom economico - Sì, quindi un’apertura continua di spazi espositivi, di gallerie, di galleristi, di artisti che si incontravano e creavano gruppi. Infatti, vi era anche Tommaso Ferroni a Firenze e, un altro Ferroni, un suo omonimo a Milano di una bravura eccezionale. Dunque, io sono stato un po’ influenzato da questo genere. Ho osservato e studiato la loro pittura con molta attenzione - Perché ha avuto modo di conoscerli in prima persona - Di vederla’

 

A suo avviso, l’arte può essere considerata un mestiere?

‘L’arte non è mai stata un mestiere. C’è stato un periodo, in particolare quello del boom economico, in cui hanno fatto dell’arte una speculazione e hanno coinvolto pittori che avevano delle grandi qualità, però, con l’abbaglio del danaro e della vendita continua in quanto i galleristi comperavano le ripetizioni dei quadri che distribuivano in tutta Italia (anche fuori) e, quindi, hanno un po’ spinto i pittori (bravi e con delle grandi capacità) a fare la cosiddetta ‘pittura commerciale’. Però, ci sono stati anche i grandi che non hanno mai ceduto a questi ‘diktat’ - Certamente, anche per quello di cui discutevamo prima e, dunque, sul fatto che non tutto ciò che l’uomo produce è sinonimo di arte - No, assolutamente - Ma l’arte è ciò che noi abbiamo dentro - Ma soprattutto, la cosa che io sottolineo e che mi piace è il fatto che l’arte debba avere dei contenuti, deve trasmettere qualcosa. Il bel paesaggio incantato, con il suo verde, con le sue casette, con le marine l’ho illustrato anch’io nel periodo di necessità di sopravvivenza perché Roma ha dei costi elevati. Però, mettevo degli pseudonimi, perché dovevo pur vivere (ammette sorridendo e ponendoci dinanzi a una realtà che sembra essere anche piuttosto attuale ndr.); Roma cara, dovevo pagare il fitto di casa che si trovava a due passi da piazza Navona e il fitto era piuttosto elevato, ma, d’altro canto, era comodo perché ero a due passi dai grossi centri espositivi, quindi non dovevo prendere la macchina (cosa rara per quei tempi), ma nemmeno il pullman per raggiungere le gallerie. La vicinanza mi ha permesso di andare a visitare, assieme agli amici, questi spazi espositivi e le varie mostre. Quindi, sono stato un po’ anch’io peccatore per sopravvivenza e ho fatto della pittura più ‘commerciale’ - Ma sempre per esigenze di vita che giustificano il tutto - In un certo senso sì. Però, il dire e il raccontare, attraverso le tele, quello che avevo dentro è prevalso sempre, è stata sempre la spinta - Perché ciò che è emerge è, comunque, il pathos e quello che lei vuole comunicare, anche perché c’è sempre un pezzo dell’artista in ogni quadro - Assolutamente sì. Per esempio, anche queste provocazioni voglio che spingano l’osservatore a riflettere. Anche la dimensione è importante, perché se, per esempio, osserviamo il quadro ‘La Saracinesca’ e lo andiamo a immaginare in un formato piccolo (50x70) non ha quell’impatto emotivo che ha quella dimensione (fa riferimento al quadro che sta indicando, ndr.); come ‘La Porta’ oppure ‘Le Biciclette’ così ingrandite, devono spingere, questi soggetti, a una riflessione, a osservare con più attenzione - Quindi, più è grande e più risaltano i dettagli - Esattamente’

 

Dunque, la dimensione fa riflettere sui dettagli perché balzano all’occhio.

‘Sì, ma poi si impone; difatti, molti hanno detto che è un colpo nello stomaco. Per esempio ‘L’Esca’, quel personaggio con il grande amo e, al posto dell’esca, c’è la foto dell’Ilva o come anche il contadino che si ritrova a falciare non il grano, ma i tondini di ferro da costruzione e, tutto questo, rappresenta l’invasione del litorale ionico che è stato sommerso dal cemento. Sono quadri datati’

 

Le tematiche trattate nelle sue opere sono molto attuali e vien quasi da dire che ce ne sarebbero ancora tante altre da trattare.

‘Sì, non è cambiato nulla’

 

In un quadro in particolare non si può non notare un richiamo al classicismo in contrapposizione al classico uomo tarantino che non può fare a meno della Raffo.

‘Sì - C’è il classicismo perché è evidente la presenza dell’immagine statuaria greca - Sì e, in quella composizione, c’è una prospettiva alterata volutamente. C’è una grande tridimensionalità, infatti si notano gli spazi che si allontanano e quella grande metopa che soccombe. Il personaggio trionfante è lui che ti guarda come per dire... - L’apatico praticamente - L’apatico a cui è sufficiente una birra ghiacciata e ha risolto tutto’

 

Quindi, il messaggio potrebbe essere: ‘affossiamo la storia, affossiamo l’arte, affossiamo la cultura, perché adesso vale più il menefreghismo e l’apatia’?

‘È così. È sempre stato così - Ma il problema potrebbe anche essere il fatto che non si dia più risalto ai valori? - Sì, i valori. Le nostre radici non sono state valorizzate, non sono state rispettate, non sono state trasmesse, perché è importante trasmetterle e non necessariamente con la frequentazione. La scuola è prioritaria come il fatto di insegnare ai ragazzi il fatto di rispettare e conoscere il proprio passato e le proprie radici’

 

Ecco, giustappunto, parlando di radici e storia, ultimamente si sta discutendo abbondantemente dell’importanza di Taras, mentre viene eclissata la figura di Falanto. Eppure, ci sono le prove che Falanto sia realmente approdato nella nostra terra e che, dunque, non si tratti di un mito.

‘Noi siamo figli di Falanto - Siamo in parte parteni e non spartani - Siamo parteni e la storia ce lo dimostra - Ma, ovviamente, il termine ‘parteno’ non è offensivo - No, no, anzi chi scherza tende a esserlo - Infatti, non può essere offensivo, perché, tra l’altro, Falanto voleva avere la sua rivalsa (in un certo senso) in quanto lui voleva rimanere nella sua terra; però, purtroppo, poi ha perso quella famosa battaglia e, quindi, è stato cacciato dalla sua terra. Ma, in tutto questo, vi è la figura dell’oracolo che gli ha indicato la strada che diviene sinonimo di simbolismo - Sì, però, purtroppo, queste cose non si trasmettono. Io, quando facevo l’insegnante, abbinavo, durante le ore di figura disegnata (visto che le ore erano tante) si facevano anche delle discussioni con i ragazzi e si parlava, per esempio, dei grandi artisti o dei momenti storici particolari. Parlando degli artisti dicevo loro di collocarlo nella vita reale di tutti i giorni. Tra gli esempi, li portavo a immaginare la vita d’un tempo, come il buio invernale e la mancanza di illuminazione tra le strade, gli orinatoi che si riversavano per strada, ma anche il fatto che non ci fosse nemmeno la carta igienica e, mentre raccontavo, i ragazzi mi guardavano. Gli artisti vivevano, addirittura, con lo stesso vestito per un anno, due anni, fino a quando non si lacerava completamente, scopriva la pelle. A Michelangelo, quei calzari di cuoio, gli si incollarono ai piedi, perché lui mica stava a pensare alla doccia o a lavarsi i denti.. lui stava lì buttato a 30 metri di altezza, sull’impalcatura a dipingere e non poteva scendere, anche perché sarebbe stato un pazzo a scendere ogni volta per vedere il risultato di ogni dettaglio che dipingeva e, poi, risalire per 30 metri. Allora ecco l’intelligenza e la programmazione: realizzare i cartoni per terra (gli spolveri), poi piazzarli sulle pareti curve (la parete interna della cupola) e batterli con il carbone per lasciare almeno un segno e impostare questi volumi, queste masse umane di corpi, perché una cosa è dipingere stando con i piedi per terra e, ogni tanto, allontanarsi per vedere se vi è qualche errore e modificarlo; ma farlo a 30 metri di altezza è tutta un’altra cosa. Nel ‘700, invece, inventarono un altro metodo per poter riportare sulle cupole il disegno: la quadrettatura, mettevano dei grandi bracieri e del cordame fatto a quadretti e riflettevano, con la luce di queste fiamme, sulle cupole e avevano, inoltre, dei punti di riferimento. Ecco perché bisogna apprezzare questi grandi mostri che, tra le altre cose, occorre tenere presente il fatto che erano loro stessi a produrre i colori’

 

I social aiutano l’arte?

‘I social possono aiutare l’arte. Dipende dall’artista e da ciò che decide di prendere dai social che può essere positivo, perché il social può essere anche negativo per l’artista. Quindi, è sempre l’artista che deve decidere. L’artista con la sua cultura, con la sua preparazione quotidiana, perché l’arte deve essere vissuta da quando si aprono gli occhi e si vive anche durante l’intervallo notturno’

 

Cos’è la Bellezza nell’arte?

‘L’arte è già Bellezza in sé’

 

                                                                                                       ‘Ciò che è sacro nell’arte è la Bellezza’ Simone Weil.