Intervista alla Dott.Ssa Angelica Corrado Salati: ‘La Bellezza della meraviglia come chiave del mondo’
IN BREVE:
- La presentazione della scrittrice e Architetto Angelica Corrado Salati
- La frase sulla Bellezza
- L’essenza della vita e la meraviglia
- La visione della vita della Dott.ssa Salati
- Com’è possibile rendere migliore il futuro
- Intervista alla Dott.ssa Angelica Salati
- Conclusioni
Delicata come i petali di un fiore che hanno bisogno di cura e attenzione, in questo modo potremmo presentare la scrittrice e Architetto Angelica Corrado Salati che, grazie allo stupore della meraviglia, ne ha saputo coglierne l’essenza e a trasformarla in un libro ricco di testi e immagini.
La Bellezza che muove il mondo non è solo una bella frase da incorniciare e rammentare nei momenti più opportuni da utilizzare, ma simboleggia la vera essenza della vita e in che modo la si deve affrontare. Un altro tema delicato è, poi, la paura che, purtroppo, oggi come oggi, è intrinseca in ognuno di noi e non ci permette di fidarci del prossimo.
La visione della Dott.Ssa Salati è molto precisa e lineare e, per certi versi, anche ancestrale in quanto contribuisce a ricostruire e riportare alla luce quei sani valori che, un tempo, erano alla base della società e permettevano alle persone di coesistere pacificamente, ma, in particolar modo, di condividere non solo nel senso materialistico del termine, ma anche emotivo e conoscitivo. In sostanza, la vita, come ben sappiamo, è una sola e occorre viverla con profonda devozione, rispetto e meraviglia al fine di coglierne gli aspetti più belli da tramandare alle persone che incontriamo e ai posteri, affinché la fiducia in un futuro migliore non sia solo un sogno, ma una realtà che può seriamente concretizzarsi.
La Bellezza è, quindi, racchiusa nelle parole, ma anche nei cuori e nella capacità di chi, attraverso la meraviglia, riesce a stupirsi e a condividere la chiave che potrebbe cambiare il mondo.
Intervista alla Dott.Ssa Angelica Corrado Salati
Angelica Corrado Salati, in che modo e, soprattutto, quando hai trovato l’ispirazione per poter redigere questo tuo libro?
‘Era il 2020, in pieno periodo Covid e, in casa, ero in preda alla noia. Ero circondata da molte piantine, circa una quarantina e, un giorno, mentre rassettavo, casualmente, ho associato una pianta a una giraffa. Quella pianta si chiamava ‘Tradescantia Zebrina’ e, quindi, l’idea di abbinare una Zebrina a una giraffa mi ha subito fatto venire in mente una storia e, così, ho scattato la prima fotografia e ho scritto questa breve storia. Da quel momento in poi, ho iniziato a interessarmi al nome delle piante e alla loro forma, oltre al fatto di scoprire in che modo sarei riuscita ad abbinarle ad altri oggetti per creare nuove storie. Nel mentre io creavo nuove storie, scattavo fotografie e queste erano diventate il messaggio del buongiorno che, appunto, mandavo ai miei amici e ai parenti nel periodo del lockdown. Se non che, dopo aver raccolto una trentina di storie, una mia amica mi lancia una provocazione dicendomi ‘perché non scrivi un libro?’ visto che le piante le studiavo, stavo imparando a conoscerle e a trattarle. Quindi, ho fatto una ricerca sul settore e avendo notato un certo ‘vuoto editoriale’ (il mio libro rientra nella saggistica) ho pensato che potesse essere la strada giusta da intraprendere, perché ho notato che l’interesse ricadeva o sulle piante da produzione (come ad esempio l’orto) oppure sui grandi alberi monumentali. Dunque, mi è sembrato che, proprio quelle piante che io definisco ‘casalinghe’, erano state ‘dimenticate’ e trascurate e, quindi, questa poteva rappresentare la giusta occasione per dare loro la giusta dignità e il giusto spazio’
Si tratta del tuo primo libro?
‘Sì, si tratta del mio primo libro. Io ho studiato e ho vissuto per otto anni a Roma e, ogni volta che prendevo un treno, conoscendo nuove persone, in realtà, mi era venuta in mente l’idea di scrivere un libro che riportasse tutti questi incontri, difatti avevo preso anche degli appunti. Però, si è trattato di un’idea che è morta lì. Anche quando scrivevo le storie, non partivo già con l’idea di un libro; partivo con l’idea che stavo facendo una cosa che mi piaceva e che non mi faceva dormire la notte per l’adrenalina e la gioia di inventare una nuova storia, perché sono sempre stata molto attratta dalla storia delle persone e dalle biografie’
In questo tuo lavoro sei riuscita a cogliere la Bellezza delle parole unite alle immagini, sottolineando l’essenza dei rapporti umani. In che modo è stato possibile?
‘Mi piace dire che, questo libro, non l’ho scritto per le piante, ma l’ho scritto con le piante perché attraverso il contatto con questi esseri viventi, io non ho fatto altro che tirare fuori quelli che sono i miei valori o valori che, comunque, mi hanno trasmesso loro. E, quindi, è proprio il contatto con un altro essere vivente che ti può portare (perché non è scontato) a far emergere un altro tipo di Bellezza. Devo dire che, tutto questo, a me è scaturito dal senso della meraviglia e questa è una parola a cui sono molto legata perché se io non fossi stata meravigliata dall’aspetto estetico delle piante o dal nome (da quello che le caratterizza), probabilmente, non sarebbe nato tutto ciò. Aristotele diceva: ‘La meraviglia è la prima di tutte le passioni’ e, infatti, la meraviglia mi ha fatto appassionare al mondo delle piante e dalla passione, poi, si è generato qualcosa per me inaspettato’
Quanto pensi sia autobiografico?
‘Sì, il libro è assolutamente autobiografico, perché ogni storia nella sua semplicità e nella sua essenza, in realtà, racchiude quelli che sono i miei valori e alcune esperienze che, comunque, mi sono accadute in quel periodo. C’è una storia che ho dedicato a mia madre, in un periodo in cui non stava molto bene in salute, quindi faceva riferimento al suo stato e, di conseguenza, al bisogno di affidarsi a qualcun altro al di sopra di noi esseri umani, ma come fai a decidere a chi affidarti quando sei disperato? Poi, ti affidi a tutti e, quindi, c’è questa storia di questa pianta che ha le foglie larghe e che accoglie, appunto, senza alcuna distinzione le preghiere di tutti noi. È autobiografico perché, comunque, rappresenta un momento della mia vita, rappresenta un momento in cui, in preda alla noia o comunque vedendo quello che succedeva all’esterno della mia stanza, mi permette di dare una risposta agli eventi. Ma, sostanzialmente, è autobiografico perché risponde a quelli che sono i miei valori, a quello che le piante mi hanno fatto emergere. Questi valori sono innanzitutto:
- Il concetto di amicizia: cioè si può parlare di amicizia solo nel momento in cui conosciamo il nome della persona che abbiamo di fronte e, quindi, allo stesso modo anche con un altro essere vivente. Solo quando sappiamo il nome di questa panta possiamo approfondire la conoscenza, quindi vedere il Paese di origine, il clima e ciò di cui ha bisogno e, quando si capisce ciò di cui ha bisogno l’altro, nel rispetto dell’altro, ci si mette un po’ da parte, si rinuncia all’ego antropocentrismo e l’altro non viene più trattato come oggetto che tende a riempire i vuoti dei nostri spazi, ma viene, appunto, capito con rispetto
- L’accoglienza: casualmente, avevo notato che le piante che noi abbiamo in casa provengono dagli stessi Paesi in cui ci sono i maggiori flussi migratori (Sud Africa e Sud America), quindi mi sono chiesta ‘perché non si può essere ospitali, allo stesso modo, con gli esseri umani così come lo siamo con le piante?’
- Accettazione della diversità: io in casa avevo circa quaranta piante e il mio obiettivo era quello di far emergere da ognuna la Bellezza, ma la Bellezza la si ritrova in ciò che è unico, quindi si tratta di una Bellezza relativa. Parliamo di una specifica peculiarità che rende una pianta diversa dalle altre. Tutto quello che trovavo nelle piante, mi permetteva di creare un parallelismo con gli esseri umani. Non ho mai pensato più di tanto a questa cosa, forse perché era già presente in me’
Tu parli molto di valori e sani principi che, come si evince, ti sono stati tramandati dalla tua famiglia. Quanto pensi siano importanti oggi come oggi?
‘Il primo contatto che ho avuto con la natura è avvenuto tramite mia madre e mia nonna, però devo dire che il primo contatto non è stato del tutto piacevole perché le mansioni che mi davano da fare erano quelle di innaffiare, togliere le foglie secche,spazzare i balconi, i giardini e all’età di 5/6 anni questa cosa non mi entusiasmava per niente, però posso riconoscere che è stato sicuramente un seme giusto, un seme che, poi, si è trasformato nel corso degli anni. Quello che ricordo benissimo è, in realtà, l’insegnamento del rispetto. Mia madre mi ha insegnato il rispetto per la natura e per tutti gli esseri viventi: a trattarli bene, a non fare loro del male e questo lo ricordo. Poi, la cosa bella è stata che, mentre ero all’università a studiare architettura, facendo (più o meno) un viaggio all’anno all’estero, ero sempre attratta dagli orti botanici,ma pur essendo attratta da questo spazio naturale e, al tempo stesso, artificiale, devo dire che ero più incuriosita dallo sperimentare e dal far nascere, quindi non coltivavo nulla in merito. Il tutto, poi, è esploso nel 2020 e, questa, è un’altra cosa bella perché se penso che, molte volte, si dice di ‘fare solo ciò che serve’ e, dunque, ridurre tutto all’essenziale secondo una visione capitalistica al fine di ottenere dei risultati pratici, però, in realtà, io trovo bello il fatto di avere una visione un po’ più ampia perché non si sa mai ciò che può sbocciare da lì a qualche anno; la mia professoressa di filosofia lo chiamava ‘il residuo secco’, quindi il residuo di ogni esperienza, ma ogni esperienza, a volte, non è legata solo alla parte pratica ma anche allo studio’
Cosa manca nel mondo attuale?
‘Non mi sento di dire cosa manca nel mondo attuale perché potrei risultare anche molto anacronistica, perché mancano tante cose. Potrei dire che, innanzitutto, vedo la mancanza della meraviglia, cioè se ognuno di noi si meravigliasse di qualcosa e ne fosse cosciente (perché, a volte, bisogna anche essere coscienti di ciò che ci piace) praticamente il mondo sarebbe un posto un po’ più felice, si guarderebbe un po’ meno agli altri. I valori ci sono, ma c’è una tendenza alla paura; penso che la paura faccia chiudere in se stessi, faccia dubitare molto dell’altro, vedere nell’altro un nemico e questo non ci fa vivere bene, non ci fa avere fiducia e ci fa isolare. Penso che sia l’epoca dei single con i frigoriferi pieni, le case tristi, sole e vuote’
Qual è il punto chiave di questo tuo lavoro e quello che vorresti far comprendere a chi ti legge o ti ascolta?
‘Mi piacerebbe che chi legge il mio libro cogliesse quelli che sono i miei valori, cogliesse la meraviglia e, al tempo stesso, facesse l’esercizio di trovare la sua meraviglia perché se io immagino un gruppo di persone dove ognuno parla di quello di cui è meravigliato, questo scambio di gioia non farebbe altro che far crescere tutti quanti. Gioia, passioni, quindi parlare di idee, di progetti, invece che esercitarsi all’attività del gossip. Però, io non ho alcuna presunzione in questo’
Per te è fondamentale la condivisione? Nella tua vita, quanto è stato importante seminare e raccogliere o creare nuove e consolidate amicizie?
‘Assolutamente sì. Quando io devo presentarmi, di solito lo faccio utilizzando tre verbi e, uno di questi, è proprio: condividere, gli altri due sono conoscere e coltivare. Per mela condivisione è un momento di crescita, perché se ognuno facesse le esperienze solo per sé, ci sarebbe una crescita personale, ma non del gruppo, della società e interrelazionare. Non è facile condividere perché, comunque, si tratta di un momento di confronto con possibile scontro, però non serve a niente conoscere se quella conoscenza non viene coltivata e, se quella conoscenza coltivata, non venga condivisa, non si riesce ad andare da nessuna parte. Io la vedo in questo modo, a me non basta vivere un’esperienza solo per me. Mi piacerebbe che quello che io vivo e reputo bello venisse donato anche agli altri e ricevere gli stessi doni’
Qual è il consiglio che ti senti di dare al prossimo e a chi vorrebbe iniziare a scrivere un libro?
‘È una domanda un po’ difficile perché io non avevo l’obiettivo di scrivere un libro, ma il mio era solo quello di esprimere ciò che vedevo io attraverso le piante, una fotografia, una storia che, successivamente, si è concretizzata in un libro. Un libro che, poi, è diventato un laboratorio per bambini; quindi, il consiglio che darei a tutti, senza riservarlo solo a chi vorrebbe iniziare a scrivere un libro, ma a tutti quelli che hanno un qualcosa dentro che batte forte (di solito è molto forte altrimenti non ci si fermerebbe a tirarla fuori e può essere una gioia grande o anche una sofferenza), quindi il mio consiglio è che se sia ha qualcosa dentro che batte, occorre sforzarsi a trovare il canale giusto per tirarlo fuori. Questo è il mio consiglio, il mio augurio rivolto a chiunque riesca a tirare fuori un’emozione, un sentimento, una storia, un dolore’
‘Seminare piante in un giardino significa credere nel domani’ Audrey Hepburn.