L’eleganza dell’Antica Roma
IN BREVE:
- Donna romana: donna vanitosa e di portamento
- Gli abiti femminili nell’Antica Roma
- Nei finti come arma di seduzione
Se dovessimo pensare all’Antica Roma, immagineremmo sicuramente lunghe vesti bianche o colorate che non lasciavano trasparire nulla all’immaginazione, ma la moda romana era molto di più di tutto questo. La donna era perennemente in cerca di ornamenti e arricchimenti estetici, la vanità e il desiderio di apparire la inducevano a mostrarsi nel miglior dei modi, senza mai scivolare nell’oblio o nella tentazione di risultare volgare. Vi era un’attenzione peculiare e una ricercatezza certosina nel vestiario e in ciò che la donna sceglieva di indossare, ma anche portare come ornamento decorativo da accostare alla sua grazia e alla sua dolce figura.
In particolar modo, le donne romane dei ceti alti erano maggiormente ‘ossessionate’ dalla cura dei particolari. Esteticamente tutto doveva essere perfetto, tant’è che la cura dell’epidermide rappresentava uno dei primi pensieri per la donna di quel tempo, tant’è che ciò indusse allo sviluppo di un’arte piuttosto ricercata e che, ancora oggi, appare indispensabile (soprattutto in talune circostanze): il trucco.
Quanto dianzi menzionato è, senza dubbio, un vero e proprio viaggio nel passato, ma anche nella bellezza che non è mai tramontata e di cui la donna ne è promotrice nelle sue forme, nelle sue arti, nella sua delicatezza, nei suoi gesti e nella sua essenza interiore ed esteriore.
Gli abiti femminili nell’Antica Roma
Leggera come una piuma, fresca e profumata come una rosa, la donna romana amava essere bella e risultare attraente, ma questo suo modo di porsi pubblicamente da cosa era contraddistinto? Qual era il suo abbigliamento?
Per prima cosa, occorre partire dalla biancheria intima delle donne romane che erano solite indossare la fascia pectoralis (reggiseno) che, secondo Ovidio, sarebbe stato consono imbottirlo qualora il seno fosse stato troppo piccolo; a seguire, troviamo le subligar (mutandine) che lasciavano intravedere l’ombelico. In tal modo, alle donne era persino consentito fare i bagni e svolgere esercizi ginnici presso le terme. La tunica intera interamente in lino fungeva da sottoveste, mentre la stola (con o senza maniche) rappresentava la veste in sé, inoltre la sua lunghezza arrivava sino ai piedi ed era arricchita da molte pieghe (queste erano fondamentali, tant’è che le donne di un certo ceto avevano la necessità di avere una figura addetta alla ‘creazione’ delle pieghe.
Particolare attenzione alla cintura in vita che delineava le rotondità dei fianchi assieme a un’altra seconda fascia posta sotto il seno. Difatti, l’uso delle cinture o delle fasce non era consentito a tutte le donne,in quanto rappresentavano una sorta di ‘richiamo sessuale’ nei confronti degli uomini. Dunque, non tutte potevano indossarle, se non in possesso di determinati requisiti decisi a seconda dell’epoca in cui risiedevano.
Le donne, inoltre, potevano indossare pubblicamente la palla (un ampio mantello di stoffa leggera) o il ricinum (mantello di tela leggera).
Persino i colori avevano la loro importanza e venivano scelti con criterio al fine di poterli abbinare al meglio e, soprattutto, con gusto. Tra i preferiti emergeva il bianco e le tinte pastello per le giovani, quelle neutre e il rosso porpora per le più anziane.
I personaggi di un certo spessore non usavano cappelli, ma, all’occorrenza potevano coprirsi il capo con un lembo della toga. Solo durante le cerimonie religiose o nel corso di alcuni sacrifici le donne usavano scialli e ampi fazzoletti con frange. In altre occasioni, invece, ponevano sul capo dei veli con diademi o cerchietti.
Dulcis in fundo, la donna non poteva di certo fare a meno degli accessori quali: borsette in pelle, in stoffa o in paglia, un ombrellino parasole portato dalla schiava o dall’accompagnatore e da un ventaglio con foglie di loto o con penne di pavone.
Infine, le calzature più utilizzate all’epoca erano i calcei, mentre i più eleganti presentavano la lunula (una fibbia in avorio a forma di mezzaluna). Pochissimi o, per meglio dire, solo gli alti dignitari avevano il privilegio di indossare il calceus senatorius di colore nero.
Quel puntino sul viso come messaggio simbolico
Terminata la fase del trucco (un procedimento che prevedeva particolare cura e attenzione dei prodotti utilizzati), alcune donne, dopo essersi sparse tutto il corpo di cipria, erano solite utilizzare anche dei nei finti, i quali, a seconda del loro posizionamento sul volto, assumevano un determinato significato: la maestosa, l’affrontata, la passionata, la galante, la capricciosa e la baciatrice.
La fase del trucco nelle donne terminava con le guance tinte di rosso e gli occhi bordati di nero con polveri o con il khol egizio. Infine, vi era anche l’uso dell’ombretto e la cura dei loro denti.
D’altronde, da quanto appena descritto, possiamo be immaginare il motivo per cui, per i romani, l’abito faceva il monaco.