A chi serve il Principe Azzurro? - Intervista a Valentina Melis - Infoestetica Magazine

A chi serve il Principe Azzurro? - Intervista a Valentina Melis

A chi serve il Principe Azzurro? - Intervista a Valentina Melis

L'avete vista in TV, al cinema e, recentemente, avete anche letto il suo nome in libreria. Valentina Melis accetta con grinta ogni nuova sfida, compresa la più delicata di tutte: la maternità.

In breve

  • Dal cinema all’editoria: Valentina Melis è un’equilibrista 

  • Valentina Melis è Una Mamma Ansia e Sapone nel suo primo libro 

  • La maternità secondo Valentina Melis: quante cose non ci dicono! 

  • “La vera bellezza è la libertà di essere se stessi” 

  • Fare l’attrice non è un lavoro: è uno stile di vita 

  • Ragazze: non vi serve il principe azzurro! Siete capaci di salvarvi da sole. 

 

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Sorriso contagioso, inarrestabile energia e un mondo da svelare. Valentina Melis ha mille risorse che condivide volentieri, con la spontaneità di chi ti dà un consiglio da amica. Si è raccontata a Infoestetica Mag con spirito e onestà, in una chiacchierata su maternità, bellezza e women empowerment. 

Mamma, professionista dello spettacolo e anche scrittrice. È difficile conciliare tutte queste identità? 

“Sono un’equilibrista di natura: ho sempre avuto tanti interessi e passioni, sin da bambina. Mi sono appassionata a mille cose senza mai rinunciare a niente. Le difficoltà non mancano, ma me la cavo!” 

Quando hai deciso di scrivere Una mamma ansia e sapone - il tuo primo libro, nonché manuale di sopravvivenza per mamme - quali sfide hai incontrato nel corso del progetto? 

“Tutto è cominciato durante la gravidanza, quando mi sono resa conto che dovevo mettere in standby la recitazione. La verità è che non riesco a starmene senza fare niente... In più, ho sempre amato scrivere. Così ho iniziato a buttare giù gli aneddoti divertenti che mi capitavano in gravidanza. Di lì a poco ho aperto un blog – io, che sono totalmente antitecnologica! - che inaspettatamente in tanti hanno iniziato a leggere. Dopo la nascita di mia figlia, la casa editrice Vallardi mi ha contattato. Avevano apprezzato il mio modo di scrivere e erano interessati a pubblicare qualcosa sulla gravidanza. Devo essere onesta: non ho incontrato grossi ostacoli. È scattata una grande sintonia con l’editore, che mi ha lasciato completa libertà”. 

Quando sei diventata mamma quali sono stati gli imprevisti che non ti aspettavi di dover affrontare?  

“Tutti quelli che racconto nel mio libro. Non perché io sia una guru, ma lo ho scritto proprio per questo motivo. Il mio obiettivo era inviare un messaggio a tutte le donne: alle mamme, a chi sta per diventarlo, a chi non lo è o non vuole esserlo. Durante il primo anno di vita di Mia - quello più difficile – mi sono accorta di quante cose non si raccontano sulla maternità. Veniamo bombardati da video, film e articoli che prendono in considerazione prevalentemente l’aspetto bello e gioioso della cosa. Però si trascura l’altro lato della medaglia: quello faticoso. Quando ti trovi in ballo rischi di sentirti sopraffatta e inadeguata, perché non sei preparata. La maternità è un’esperienza a 360 gradi. C'è la parte che io chiamo ‘disneyana’ ma non solo! Saperne di più aiuta a gestire i momenti meno lieti; a parlarne e condividere senza sentirsi sbagliate. La peggiore delle conseguenze, altrimenti, è la depressione post partum, altro aspetto di cui si parla troppo poco”. 


 

A proposito di donne, ti abbiamo vista sostenere in prima linea varie iniziative contro la violenza e le discriminazioni. Quale pensi sia la strada per aiutare concretamente le donne in difficoltà, vicine o lontane? 

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“Ci vorrebbe un cambiamento culturale tale da estirpare una radice. In Italia domina ancora una cultura fortemente patriarcale. La consapevolezza che non c’è bisogno di un uomo per essere complete è una buona base per un reale cambiamento. Quando mi sento dire “avete la parità, di che vi lamentate?” invito sempre a consultare i dati statistici su salari e femminicidi. La parità, spesso, è apparente. Le donne dovrebbero autodeterminarsi e bisognerebbe educare alla parità di genere e al consenso in famiglia e a scuola. Quello che consiglio alle ragazze è capire quale causa vogliono sostenere. Ci sono tante battaglie in questo mondo e non sarebbe sostenibile combatterle tutte. Cercate cosa vi è più affine e, una volta trovato, iniziate dal basso. Partecipate a manifestazioni e assemblee, individuate le associazioni e condividete ciò che imparate”. 

Quali sono i valori ai quali non potresti mai rinunciare nell’educazione di tua figlia? 

“Mia ha quattro anni e mezzo. Vorrei insegnarle la libertà di essere sé stessa e di esprimersi al massimo, senza paletti. Cerco di trasmetterle la sensibilità e l’amore verso gli altri; di educarla a superare i pregiudizi e accettare le differenze. È un lavoro costante. In generale, sarebbe importante insegnare alle bambine che l’attesa del principe azzurro non è indispensabile e che sono capaci di ‘salvarsi’ da sole. Le ripeto che può e deve avere le stesse opportunità e gli stessi diritti di un maschio. Non le direi mai: “Non puoi fare questo perché sei una signorina”. Le leggo molti libri: i classici, ma anche storie di bambine ribelli che se la cavano da sole. Un lavoro sulla lettura, affiancato a un piccolo dibattito, è utilissimo non solo per quanto riguarda la parità di genere, ma anche temi come razzismo e disabilità. I bambini assorbono molto dai libri, più di quanto pensiamo”. 

Cos’è per te la bellezza?  

“Essere in pace con me stessa. La verità è che quando finalmente sei libera di essere te stessa non hai più ostacoli. Questa è la vera bellezza: non seguire gli standard. Ammetto di essere privilegiata perché sono carina, non lo rifiuto né lo nego. Certamente la bellezza mi ha aiutata nel mio lavoro. Ma sono convinta che quello che conta sia tutto nella testa. Dare troppo valore a ciò che pensano gli altri, affatica. Ed ecco che non sei tranquilla, ti senti costantemente come se mettessi in scena una performance e l’estetica subisce. Pensa a quanto siamo belli quando torniamo dalle vacanze! È perché stacchiamo la spina dalle aspettative altrui”. 

Cosa speri ti riservi il tuo futuro professionale? 

“Il mio desiderio, da sempre, è continuare a fare l’attrice. Spero di poter ricominciare a fare il lavoro che amo, che poi per me non è nemmeno un lavoro. È uno stile di vita e mi manca. E vorrei che fosse sempre più connesso alla lotta alle discriminazioni, che mi porto dietro sin da ragazzina. Un modello per me, da questo punto di vista, è Angelina Jolie: grandissima artista, Premio Oscar, e anche instancabile attivista. L’importante è non avere paura di perseguire i propri sogni e non mollare, anche quando siamo tentati!”