Chirurgia Plastica

Mastoplastica additiva Genova – prof. Franco Migliori

In Breve


Genova. Il prof. Franco Migliori, Chirurgo Plastico, ha risposto ad alcune domande sulla Mastoplastica Additiva. L’intervento di aumento del seno è forse il più richiesto dalle donne di tutto il mondo e, soprattutto, si è evoluto moltissimo nel corso degli anni verso l’ottenimento di risultati sempre più naturali.
Il prof. Franco Migliori esegue interventi di Mastoplastica Additiva a Genova, è possibile prenotare una visita con lui accedendo alla scheda medico.

• La prima Mastoplastica Additiva risale al 1962
• Rispetto agli anni ’80, oggi si cerca un risultato più naturale
• Le protesi possono durare tutta la vita
• Ogni paziente ha il diritto di richiedere i documenti circa la qualità delle protesi

Prof. Franco Migliori


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Dagli aneddoti storici ai consigli su come tutelarsi. Il prof. Franco Migliori, chirurgo plastico di Genova, ha risposto ad alcune domande sulla mastoplastica additiva, l’intervento più amato dalle donne da quasi sessant’anni.

Professore, partiamo dall’evoluzione di questo particolare intervento…
“Non è recente dato che le prime mastoplastiche additive risalgono agli anni ’60 e non avevano scopo estetico ma di ricostruzione mammaria. I canoni di bellezza erano differenti. Fino alla fine degli anni ’70 ad un seno grande si preferiva infatti la silhouette di Audrey Hepburn, perché il décolleté piccolo veniva considerato elegante. Negli anni ’80, invece, cominciano ad andare di moda forme più prosperose, fenomeno che dà il via al boom della mastoplastica additiva. Lo sviluppo delle protesi segue questo trend: da strumento di nicchia per la ricostruzione mammaria a presidio medico diffuso. Così anche le industrie produttrici di protesi a poco a poco si moltiplicano e proliferano in tutto il mondo.
Con l’aumento di richieste, l’intervento è cambiato nel tempo, permettendo un sostanziale miglioramento dei materiali, delle tecniche e dei risultati.”

Mentre negli anni ’80 si tendeva a prediligere un seno più proiettato, più grande, oggi si cerca di ottenere un risultato più naturale. È così?
“Esatto. Negli anni ’80 andavano di moda le super maggiorate. Il mercato delle protesi era orientato a forme rotonde che con il tempo sarebbero diventate gradualmente più armoniose e più rispettose delle varie forme del corpo. Oggi si prediligono protesi anatomiche perché chirurgo e paziente ambiscono ad un risultato armonico e proporzionato, lontano dagli eccessi degli anni trascorsi. Nei cataloghi di alcuni importanti marchi di protesi, tra le caratteristiche dei singoli prodotti, il volume non è nemmeno più citato. Sono indicati i diametri, le misure lineari e le protesi variano per forma e tipologia di architettura. Alla scelta della taglia da ottenere si sono sostituite quindi una serie di misurazioni del corpo della paziente che determinano il tipo di protesi da impiantare, la posizione e la tecnica da utilizzare”.

Quindi possiamo sfatare il mito che Marilyn Monroe si sia rifatta il seno?
“Marilyn Monroe è morta nel 1962, proprio nell’anno in cui è stata impiantata la prima protesi mammaria al mondo e di certo non a lei. Quindi lo escluderei!”

Poco fa accennava alle tipologie di protesi. Se dovessimo bilanciare le aspettative delle pazienti con le valutazioni mediche, che peso ha la richiesta della paziente nella scelta?
“Le aspettative stanno cambiando in senso positivo. Prima le donne volevano solo il seno più grande non rendendosi conto che spesso questo non necessariamente portava ad un miglioramento estetico. L’evoluzione del gusto dipende dalle maggiori informazioni reperite sul web e le aspettative riguardano sì un aumento volumetrico ma nel rispetto delle forme e delle proporzioni. La richiesta e il desiderio vengono rispettati se si segue una corretta progettazione delle misure, dei diametri e degli spessori. Questa permette di individuare un range di dimensioni entro cui scegliere la protesi”.

Tornando a notizie diffuse anche in maniera impropria. È vero che le protesi possono scoppiare in aereo?
“No. Questa è una bufala diffusa su rotocalchi da soubrette bramose di pubblicità. Non c’è un motivo al mondo per il quale una protesi dovrebbe scoppiare ad alta quota con la pressurizzazione della cabina ai 1500 metri circa. Basterebbe andare in alta montagna per ottenere lo scoppio, evento a dir poco assurdo.”

Dopo un intervento di mastoplastica ci sono casi in cui bisogna reintervenire?
“Sì. Anche se usiamo i prodotti top di gamma, garantiti a vita, purtroppo ciò che non è garantito a vita è il corpo umano e in ogni caso i processi di invecchiamento vanno avanti, portando negli anni ad una deformazione, caduta o discesa dei tessuti che rendono necessari degli interventi per riposizionare il seno.”
Parliamo del post-operatorio. Perché è importante utilizzare i reggiseni contenitivi?

“Perché nel momento in cui si interrompe la continuità dei tessuti biologici, ovvero si fanno dei tagli e si separano i tessuti che poi vengono ricomposti, inizia un processo che si chiama “riparazione delle ferite” o “cicatrizzazione”. Dura circa 6 mesi ed è indipendente da qualsiasi cosa possano fare sia il chirurgo che il paziente.
La mastoplastica additiva comporta la separazione dei tessuti, la creazione di una cavità e l’introduzione di un materiale alloplastico, non biologico, che ha bisogno di stabilizzarsi. Tutti i tessuti devono saldarsi ed evitare spostamenti della protesi. Il reggiseno da mastoplastica additiva va indossato giorno e notte, 24 ore al giorno per circa un mese e mezzo, per fare in modo che i tessuti si saldino in maniera compatta intorno alla protesi e stabilizzino tutto il risultato dell’intervento.”

Uno dei rischi di cui si parla maggiormente è la contrattura capsulare. Come si arriva a questo?
“Innanzitutto bisogna dire che la contrattura capsulare è un problema relativamente antico. Si tratta di una deviazione patologica di un processo naturale, ovvero la formazione di una capsula fibrosa attorno alla protesi. È corretto e perfino utile che intorno alla protesi il nostro corpo crei una capsula, diventa patologico quando questa si contrae, comprimendo e deformando la protesi. Negli anni ’70-’80 questo fenomeno si poteva presentare fino al 35% dei casi. Poi il problema si è attenuato con la costruzione di protesi più evolute che stimolano molto meno la contrazione capsulare. Tuttavia, se un tempo si doveva intervenire chirurgicamente, oggi basta una cura farmaceutica per sciogliere la capsula e risolvere il tutto”.

Vuole rivolgere dei consigli utili alle pazienti in modo da sentirsi più sicure?
“Consiglio di conoscere la persona a cui ci si affida e di sapere quali materiali vengono utilizzati. Molte pazienti, prese dall’entusiasmo del momento, si fanno consigliare in maniera superficiale da amiche o conoscenti. Io suggerisco di usare il più possibile lo strumento del web per conoscere il professionista al quale rivolgersi, vedere le sue qualifiche accademiche e il curriculum.
È importante farsi dire dal chirurgo esattamente quale tipo di protesi viene utilizzata, quale marca e modello. I chirurghi professionisti non hanno nessuna difficoltà a dirlo e a certificarlo anche dopo l’intervento. Io consegno sempre i documenti d’identità delle protesi, gli stessi che vengono affissi sulla cartella clinica. Suggerisco inoltre di non farsi ammaliare dal prezzo accattivante perché spesso dietro ad un costo basso ci sono scarse qualità chirurgiche e di materiali”.

Una paziente che non sa nulla di protesi come fa a capire che quella suggerita dal chirurgo è di qualità?
“Può cercare informazioni sul web purché la ricerca prediliga fonti scientificamente provate piuttosto che racconti di altre pazienti. Le protesi di marchi seri, approvati dalla FDA Americana (Food and Drug Administration), coprono appena il 20-25% del mercato. Il restante 75-80% è di qualità media, scarsa, pessima.”

C’è un modo per richiedere la garanzia a vita sulle protesi?
“Ci sono dei documenti che i chirurghi possono consegnare alle pazienti. È importante anche per responsabilizzare i medici.”


di Teresa Peccerillo

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